I confronti con gli altri paesi si sprecano in queste settimane di lockdown, inizialmente per dimostrare quanto fossimo stati bravi, l’Italia prima della classe a prendere misure severe ma giuste per contenere il virus, successivamente, constatando che il virus l’abbiamo contenuto in realtà meno che tutto il resto del mondo, i confronti forse servono per avere conferme che il hara kiri autoinflitto è comunque davvero indispensabile – se lo fanno anche gli altri! – e per trovare conforto nella constatazione che chi ha scelto altre strade è stato poi costretto a cambiare per seguire la nostra. Ma non apriamo questa polemica, ciò che qui vorrei notare è quanto la mentalità coloniale, o orientalista, o – diciamolo – suprematista orienti il nostro sguardo anche in questa congiuntura. Infatti il confronto è unicamente verso gli altri paesi europei o gli USA: il mondo “vero”, il mondo “degno” si ferma lì. Vorremo mica metterci sullo stesso piano dell’Africa? O di certi posti per loro natura antidemocratici e canaglieschi come l’Iran o la Russia? Sì, giungono allarmi, periodicamente si legge che si aspetta l’ecatombe nei paesi africani (la si aspetta ormai già da un po’, vuoi vedere che per una volta la sfiga colpisce più duro da noi che da loro?) e inizialmente si parlò di situazione gravissima in Iran, ma poi la cosa sembra aver perso interesse.
Allora proviamo a cambiare occhiali e puntare lo sguardo su un paese di quelli che tipicamente non contano: il Marocco, con cui abbiamo familiarità grazie alle attività dell’associazione Sopra i ponti, di migranti marocchini a Bologna.
Il paese ha seguito il modello di lockdown europeo all’incirca con la tempistica della Francia, la popolazione si trova quindi chiusa in casa più o meno dal 20 marzo e contemporaneamente sono state chiuse le frontiere, mentre le scuole lo erano già da oltre una settimana, inoltre da alcuni giorni è diventato obbligatorio l’uso della mascherina per uscire, ma se non altro solo dopo che è stata avviata una massiccia produzione interna ad opera dell’imponente settore tessile.
Il tentativo di mantenere attivo fino all’ultimo il turismo, voce importante dell’economia nazionale, ha inevitabilmente introdotto il virus nel paese: i primissimi casi scoperti, a fine febbraio, erano due emigrati di ritorno dall’Italia (un giovane poi guarito e una donna di 89 anni deceduta in ospedale a Casablanca), i quali erano stati isolati e tracciati appena sbarcati, prima che potessero diffondere il contagio, ma pochi giorni dopo sono cominciate a comparire notizie di casi sporadici di turisti francesi sintomatici e poi riconosciuti positivi al virus a Marrakech e altre località turistiche. Non appena individuati erano stati messi in isolamento, ma ormai era già tardi per poter ricostruire tutti i potenziali contatti dei giorni precedenti ed era chiaro che il personale delle strutture turistiche era stato esposto. In questa fase è interessante notare come anche qui l’inizio della diffusione sia da ricondurre a contatti europei e non cinesi, sebbene le joint ventures, le aziende, le proprietà e gli addetti e i consulenti cinesi in Marocco siano numerosi, come del resto in tutta l’Africa.
Così le misure di contenimento si sono abbattute anche sul Marocco, con la pesantezza di un regime che non si fa troppe remore ad agire in modo autoritario: per i trasgressori la minaccia è il carcere, non la multa. Grande apprensione per la tenuta del sistema sanitario, che se da noi si è rivelato debole lì è davvero debolissimo: la quota di popolazione che gode di una copertura sanitaria completa è molto ridotta essendo l’assistenza basata su un sistema di assicurazioni private legate solo a una minoranza di contratti di lavoro pubblici o di alto livello, lasciando fuori la maggioranza della popolazione. Da qualche anno lo stato ha esteso una minima copertura sanitaria pubblica chiamata RAMED a una più ampia fetta di popolazione (familiari di titolari di contratti di lavoro con assicurazione “debole” coltivatori diretti ecc), ma anche la RAMED non è universale: continua a lasciare fuori tutto il settore informale, che in Marocco è estesissimo. Inoltre il sistema sanitario è centrato su pochi e disastrati ospedali pubblici nelle città e una pletora di cliniche private che – analogamente a quanto succede da noi – nei casi d’emergenza si fanno di nebbia, mentre non esiste una rete di territorio (se non per le vaccinazioni infantili e l’assistenza al parto). La realtà delle settimane successive al lockdown, tuttavia, ha mostrato una progressione del contagio estremamente più lenta che non in Europa (per non parlare dell’Italia): al 12 aprile si parla di circa 1700 contagiati e poco più di un centinaio di decessi (in maggioranza anziani anche qui). La minore, in apprenza, aggressività del virus nei paesi africani è un punto interrogativo per tutti: diversa risposta immunologica della popolazione? Clima caldo e secco sfavorevole al virus? O magari… è proprio il minor accesso agli ospedali e la quasi inesistente presenza di case di riposo per anziani, che da noi sono i principali punti di contagio, a fare la differenza?
Così il Marocco si è trovato nella paradossale situazione di fronteggiare un contraccolpo durissimo sul piano economico e sociale senza che vi fosse un reale allarme sanitario. Sembra tuttavia che la popolazione abbia risposto positivamente: l’allarme mondiale e la scarsa credibilità del sistema sanitario hanno supplito alla mancanza di gravità sul piano locale nell’immaginario dei cittadini. Un esempio: anche Il progetto di turismo responsabile di Sopra i ponti esce massacrato dalla quarantena, tutti i viaggi di marzo e aprile, che per il Marocco sono mesi di alta stagione, sono ovviamente saltati ed è ormai chiaro che anche l’estate (come minimo) sarà ferma. Ma è curioso notare che le piccole cooperative e associazioni rurali che compongono la nostra rete diffusa di accoglienza si fossero subito espresse per cancellare cautelativamente i viaggi in programma in marzo e aprile già prima che il governo decretasse la chiusura delle frontiere, nel timore che i viaggiatori europei potessero introdurre il virus nei loro villaggi per poi abbandonare la popolazione alle conseguenze senza assistenza medica. Una simile reazione di panico e diffidenza verso i contatti con gli europei è ormai comunissima: è diventato normale sentire madri anziane e parenti malati intimare per telefono ai propri congiunti emigrati in Italia, di solito accolti e onorati come eroi, di rimanere dove sono, non muoversi per nessuna ragione, rinunciare anche al tradizionale rientro estivo e semmai affrettarsi a chiedere il rimborso dei biglietti aerei già acquistati! Chissà come saranno stati accolti i circa cento giovani emigrati clandestini in Spagna che, trovatisi senza documenti, senza lavoro, senza copertura sanitaria in un paese flagellato dall’epidemia, hanno forzato il blocco delle frontiere in senso contrario, tentando la traversata dello stretto in gommone e sono stati avvistati nei pressi di Larache (poco a sud di Tangeri sulla costa atlantica) la settimana scorsa. La vox populi parla di tariffe che si aggirano intorno ai 6000 euro da pagare agli scafisti per passare lo stretto clandestinamente in direzione sud.
Quando infine il lockdown è arrivato, ha immediatamente dimostrato la sua odiosa natura di classe: come è stato da più parti ribadito, la quarantena non è uguale per tutti, dipende dalla disponibilità di metri quadri, balconi, cortili, computer e connessioni e dalla capacità di tenere il frigo pieno senza lavorare! Che succede quindi nella tipica situazione dei sovraffollati quartieri popolari urbani, e ho in mente per conoscenza diretta la vecchia medina di Casablanca? Decine, centinaia di migliaia, milioni di persone vivono ammassati in appartamenti piccolissimi, in molte zone senza acqua corrente in casa. Cosa rimane ai bambini, alle donne di quei quartieri se si toglie loro il vicolo, la principale area di gioco per i piccoli e di socialità per le donne? Come sopravvivono quelle famiglie, se viene tolto loro il piccolo commercio, gli ingaggi a giornata da manovale o domestica e le altre attività dell’economia informale? La risposta iniziale è stata l’esodo verso i villaggi rurali d’origine finché la mobilità è stata permessa (e anche dopo probabilmente, più o meno di nascosto), ma certo in città sono rimaste intrappolate comunque tantissime persone, i controlli si sono fatti stringenti e le autorità prefettizie, che in Marocco dispongono di funzionari decentrati nei quartieri fin dall’epoca del protettorato, hanno cominciato a distribuire autorizzazioni per uscire per i rifornimenti alimentari una volta al giorno solo ai capifamiglia.
Verificato che il governo faceva sul serio, la seconda fase dell’arrangiarsi ha riproposto un modello anch’esso già visto in Italia: la minaccia dell’assalto al supermercato. A quel punto anche il governo marocchino è arrivato alla conclusione che bisognava mettere mano al portafoglio, e subito! dalla sera alla mattina sono stati stanziati fondi per garantire aiuti a circa 800.000 disoccupati registrati e a 6 milioni di famiglie RAMEDiste (contratti deboli e coltivatori diretti) e successivamente destinando contributi da 800 a 1200 dirham (80 – 120 euro circa) anche agli addetti dell’economia informale, insomma un contributo certamente basso, ma universale e immediato. Il settore dell’artigianato tradizionale, elemento di richiamo turistico e eccellenza culturale del paese, ma con tutta la fragilità della piccolissima impresa, lamenta un grave contraccolpo. Qui sì che sarebbe interessante fare un confronto con quanto succede in Italia, perché in Marocco il contributo è risultato rapidamente e facilmente esigibile: sono state approntate e rilasciate in quattro e quattr’otto due app per cellulare di semplice utilizzo indirizzate alle diverse categorie per inoltrare la domanda e passare a ritirare i soldi in banca. Lo spinoso problema di identificare gli aventi diritto in una situazione in cui, benché se ne parli da anni, i “poveri” non sono mai stati censiti, è stato risolto nell’unico modo possibile in emergenza: sulla fiducia! È stato sufficiente sottoscrivere un’autocertificazione nella domanda on line e indicare il numero della propria carta d’identità per escludere richieste doppie o persone inesistenti. Successivamente si valuterà se e come fare le eventuali verifiche. Certo, sono pochi spiccioli, bastano forse per comprare la farina, però sembra siano arrivati subito a tutti quelli che li hanno chiesti. Quindi si è aperto un ampio e fumoso dibattito sulle misure fiscali straordinarie: patrimoniale sì / patrimoniale no, una tantum progressiva / una tantum uguale per tutti, ricorrere o meno al FMI, in quale misura e a quali condizioni – forse ci ricorda qualcosa? Nel frattempo si registra una enorme mobilitazione delle organizzazioni caritatevoli che distribuiscono pacchi alimentari in aggiunta al contributo economico statale e – almeno sulla stampa mainstream – una gara da parte delle grandi aziende per rimpinguare il fondo statale di solidarietà. Gli interventi straordinari per l’emergenza vanno ad accelerare un dibattito che stagnava da anni – in una dinamica molto “americana” – circa l’opportunità di censire i senza reddito, creare finalmente ammortizzatori sociali e potenziare il sistema sanitario pubblico, anche il Marocco, come tutti i regimi essenzialmente neoliberisti, è stato messo di fronte a un brutale dato di realtà: o si mobilita lo stato o il paese va a fondo.
Le scuole, soprattutto quelle private (che in Marocco accolgono un gran numero di bambini) hanno cominciato a offrire lezioni online, quelle statali fanno un po’ come possono, ma “come possono” vale soprattutto per i bambini, perché la disponibilità di un pc e di una connessione stabile non è certo comune nei quartieri popolari, quindi un’enorme numero di scolari e studenti semplicemente è rimasto senza scuola. Un numero sicuramente molto, molto più grande che in Italia.
Poi ci sono le notizie, a ciclo continuo, che annunciano che questo o quell’imprenditore ha cominciato a produrre mascherine made in Morocco, che presto saranno distribuite alla popolazione, che già ci sono magazzini pieni, è questione di giorni, che una nuova start up di giovani ingegneri ha progettato un respiratore interamente marocchino, che è allo studio un innovativa app per il tracciamento dei contatti grazie a un team marocchino… insomma l’armamentario mediatico sembra davvero riproporre un modello predefinito, con l’unica importante differenza che qui i malati e i morti sono (per il momento) pochi.
Ma andrà tutto bene, in cha Allah!
post di Antonella Selva