Una riflessione sull’insegnamento della lingua italiana agli stranieri come strumento di integrazione: la scuola Penny Wirton

Mercoledì 22 maggio al CUBO (Condividere cultura) ho assistito all’incontro dal titolo  La chiave dell’istruzione il cui tema principale è stato l’insegnamento dell’italiano L2 come mezzo fondamentale per l’integrazione e inclusione sociale.

Entrando più nello specifico, perché usare l’insegnamento dell’italiano come “chiave dell’istruzione”?  Sembrerebbe retorico dirlo, ma la lingua (in questo caso l’italiano) è il primo mezzo che consente agli stranieri di entrare in contatto con il Paese, ed è importante che inizino ad avere almeno un primo approccio con essa. Questo è proprio il lavoro che tenta di svolgere la scuola Penny Wirton.

All’incontro ha  infatti partecipato Laura Bosio, giornalista, scrittrice, ma soprattutto fondatrice dell’associazione Penny Wirton di Milano .

Insegna della scuola Penny Wirton

La scuola Penny Wirton a Milano nasce ufficialmente nel dicembre 2015: Laura racconta che la parte più difficile è stato quello di trovare un luogo idoneo,  poiché i fondi inizialmente non erano sufficienti per l’affitto di un locale. Grazie all’aiuto del parroco Don Giuseppe Grampa, la scuola viene ospitata dalla Parrocchia San Giovanni il Precursore, che conferma ogni anno la sua disponibilità ad accogliere la scuola.

Ciò che ha reso la Penny Wirton famosa è il suo particolare metodo di insegnamento: durante l’incontro, infatti, Laura ci ha brevemente spiegato che il metodo utilizzato dalla scuola non è il classico insegnamento della lingua italiana attraverso lezioni frontali, ma piuttosto di creare un rapporto speciale con i loro alunni attraverso l’insegnamento a uno a uno (un insegnante e un alunno), senza dunque classi e senza dare voti, cercando di lavorare con l’essenziale

Le lezioni si basano sulla creazione di armonia tra studente e insegnante, sulla pazienza e soprattutto sulla flessibilità, in quanto le lezioni vengono create appositamente in base alle esigenze e ai bisogni dello studente in questione. Grazie all’ambiente armonioso che si viene a creare, le lezioni della Penny Wirton risultano coinvolgenti, soprattutto per gli studenti, in quanto percepiscono le lezioni come un momento di conoscenza e condivisione con il proprio insegnante, che spesso riesce a entrare in sintonia con l’allievo che sta seguendo. Gli insegnanti sono tutti volontari, ognuno con una propria storia e propria aspirazione: c’è chi insegna alla Wirton per puro spirito di volontariato, c’è chi lo fa per acquisire più esperienza nell’insegnamento, e chi lo fa per pura e semplice curiosità di conoscere storie e culture diverse.

Gli studenti, infatti, provengono da diversi paesi, dalla Cina al Bangadesh, dall’Egitto alla Russia,  permettendo di creare un melting pot con il risultato di creare un ambiente variegatocondiviso.

Agli albori, l’utenza che frequentava la scuola  non era molto fluente, ma grazie al metodo innovativo adottato dalla scuola e al passaparola generatosi sia tra gli studenti sia tra i volontari, la Penny Wirton è riuscita a farsi conoscere sul territorio, fino ad arrivare ad avere più di 100 studenti e più di 100 volontari. Forse non tutti sanno che la Penny Wirton non si trova solo a Milano, ma ha varie sedi sparse in tutta Italia: attualmente, infatti, si contano quasi 40 sedi che si estendono da nord a sud. Tutte le scuole sono unite e sottoscrivono ogni anno una Carta di Intesa, in cui vengono segnati gli obiettivi principali ma soprattutto i principi basilari della politica  assunta dalla scuola.

Infine, a rendere particolarmente interessante il seminario sono state sicuramente le testimonianze sia dei volontari della Penny Wirton sia gli studenti stessi della scuola, che hanno partecipato volentieri all’incontro. Gli studenti infatti hanno cercato di raccontare la loro storia, di come sono giunti in Italia e della loro esperienza all’interno della scuola, dimostrando una grande voglia di riscatto nei confronti di una vita che in passato con loro non è stata giusta e benevola.

Articolo di Clarissa Lo Giudice

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