Il cuore del nostro progetto è centrato sull’insegnamento dell’italiano a donne straniere caratterizzate da grande fragilità sociale, ossia madri casalinghe senza un’occupazione extra-domestica e nella maggior parte dei casi con debole scolarizzazione alle spalle, dunque una categoria molto difficile da agganciare e coinvolgere. Possiamo dire quindi che già in condizioni normali è un percorso piuttosto in salita, di cui siamo comunque riuscite a definire una mappa grazie a un atteggiamento costante di ascolto empatico, una grande flessibilità organizzativa e un continuo confronto e collaborazione stretta e fluida tra le figure diverse che compongono la squadra: insegnanti di L2, mediatrici madrelingua araba e urdu, tirocinanti universitarie, formatrice di grande esperienza. Data l’abitudine a confrontarci senza timore con le difficoltà quotidiane, non ci siamo perse d’animo neanche di fronte al lockdown: come tutto il resto della società, siamo entrate in questa specie di matrix del magico mondo della DaD (Didattica a Distanza) scegliendo per amore o per forza la pillola blu, ossia di credere, con l’ottimismo della volontà, che #tuttosarebbeandatobene.
Il primo bagno di realtà, però, è stato piuttosto una doccia fredda: all’invito numero uno, fatto a metà marzo, di trovarsi su una piattaforma apposita scelta per la semplicità di utilizzo hanno risposto solo due donne, inoltre il collegamento era di pessima qualità per il sovraccarico della piattaforma. Ma non per questo ci siamo scoraggiate! la tecnologia offre soluzioni per tutti i gusti e per tutte le connessioni e probabilmente occorreva porre maggior cura nella comunicazione (di nuovo la pillola blu!). A fine marzo il tentativo di collegamento plurimo è stato ripetuto, scegliendo di abbandonare le piattaforme specifiche per la DaD e ripiegando su una videochiamata multipla su skype, strumento che tutte le donne o quasi hanno installato sul proprio cellulare e utilizzano quotidianamente per rimanere in contatto con la propria famiglia. Sarebbe stato ancora meglio whatsapp, social media che oggi è di uso ancora più comune presso il nostro pubblico, ma il limite di non poter collegare più di quattro device contemporaneamente lo rendeva per noi inadeguato. Comunque anche questo secondo tentativo in modalità semplificata è andato quasi deserto: di nuovo solo due donne collegate, e per un tempo breve.
A questo punto anche il blu della pillola dell’ottimismo aveva cominciato a scolorirsi. Sono quindi entrate in campo le mediatrici madrelingua chiamando singolarmente ogni donna per capire se e in quante fossero interessate, intercettare eventuali altri problemi e individuare i momenti più propizi e le tematiche di maggior interesse. Dei due gruppi di aggregazione interpellati in questo modo, le donne che venivano a lezione alla moschea della Bolognina hanno risposto in blocco di non essere interessate alla DaD sostanzialmente per motivi familiari: con i figli e in molti casi i mariti a casa h24 mancano del tempo e soprattutto dello spazio mentale per dedicarsi all’apprendimento della lingua italiana. Quasi tutte, però, si sono dichiarate molto interessate a rimanere in contatto telefonico con le mediatrici anche per avere informazioni di utilità pratica in questo periodo, ad esempio riguardo ai sussidi statali straordinari. Le donne dell’altro gruppo contattato invece, tutte residenti a Castenaso, si sono dette interessate a proseguire lo studio dell’italiano utilizzando skype. Quest’intenso lavoro di relazione telefonica ha portato a un appuntamento skype prima di pasqua in cui le utenti erano più numerose (4), ma ancora poche rispetto agli incontri in presenza. Questo primo vero incontro di gruppo ha preso le forme di una conversazione a ruota libera – in italiano! – sulla quotidianità della quarantena, le difficoltà, le impressioni e ancora molte richieste di informazioni pratiche e aiuto.
Inoltre le operatrici hanno riscontrato la difficoltà di introdurre elementi didattici nella conversazione e hanno lavorato sodo durante la settimana per prepararsi a utilizzare al meglio le possibilità offerte dagli strumenti tecnologici, sui quali hanno dovuto imbastire una competenza in quattro e quattr’otto. La settimana successiva, però, le utenti si sono di nuovo dimezzate come numero, tornando a due, e il tempo di collegamento si è malinconicamente ridotto.
Dopo oltre un mese di intenso lavoro e risultati non proprio esaltanti, era arrivato il momento di rassegnarsi ad inghiottire la pillola rossa, ossia riconoscere che la distanza, molto banalmente, distanzia e che gli effetti degli strumenti tecnologici sono modulati dalla condizione degli utilizzatori, per cui in astratto facilitano la comunicazione ma in concreto per alcuni possono invece ostacolarla. La pillola rossa, della consapevolezza, è più amara, ma è anche quella che indica vie d’uscita, infatti a questo punto è partita una riflessione collettiva che vogliamo in parte riportare con le parole delle protagoniste.
Francesca – volontaria servizio civile – Purtroppo siamo riuscite a “far lezione” solo per venti minuti.. si sono connesse due donne ( una delle due era nuova e non comprende molto bene l’italiano). Abbiamo cercato di coinvolgerle nell’attività ma con scarso successo.. hanno parlato un po’ rispondendo a delle domande che facevamo ma poi si sono disconnesse. Parlando con Agnese, Meryem e Komal son venute fuori un po’ di problematiche o meglio ci siamo interrogate sulle possibili cause della scarsa frequenza ai corsi. Io credo che al di là della volontà di imparare l’italiano molte di loro si sentano a disagio in questa nuova modalità di lezione: hanno a casa i mariti e i figli e ciò sembra creare una sorta di imbarazzo. La videochiamata che utilizzano comunemente come mezzo per parlare con la propria famiglia risulta molto diversa se utilizzata per parlare con ” estranee”. Le mette forse in una condizione di “pudore”, come se entrassimo a casa loro, magari percepiscono tale modalità come troppo “ invadente”. Entrambe ad esempio si sono connesse senza video, può essere una casualità o forse no, per cui abbiamo anche pensato che potrebbero vedere queste lezioni online come una perdita di tempo. Poi un elemento importante è il passaparola che si crea tra le donne: se magari c’è qualcuna che vuole seguire e vorrebbe “prendere coraggio” e vincere la timidezza, quando vede però che l’amica non si connette, non si connette neanche lei alla fine. Alla base c’è sicuramente la motivazione di imparare la lingua, ma sotto quella motivazione ci sono tantissime variabili che influiscono significativamente sulla motivazione principale. Poi, dato che sono in isolamento e quindi (come un po’ tutti noi) in una sorta di sospensione dalla “normalità”, sentono meno il bisogno di imparare l’italiano in questo momento.
Agnese – tirocinante antropologia – un’altra cosa su cui abbiamo riflettuto è come mai durante l’anno avevano la motivazione e l’interesse per venire a lezione 4 ore a settimana (con l’impegno di prepararsi, camminare, prendere bus ecc) ed ora non sembrano interessate a connettersi un’ora a settimana (senza dover prepararsi uscire ecc). Oltre all’ostacolo concreto che hanno i figli e mariti a casa che danno da fare e che spesso cedono i propri e telefoni ai bimbi per la loro didattica a distanza, abbiamo pensato che forse la partecipazione alle lezioni era incentivata dal fatto stesso di uscire di casa. Insomma, venire alla lezione era motivo di “libera uscita”, permetteva loro di vedere altre amiche, scambiare due chiacchiere ecc. forse non vedono la lezione online come qualcosa di utile per loro, proprio perché priva del “contorno” che invece le lezioni in presenza avevano. Quindi io non riesco a capire se ora non partecipano alle lezioni 1) perché non sanno usare bene skype – ma ne dubito perché, oltre che l’abbiamo spiegato, loro hanno sempre usato queste piattaforme; 2) perché non hanno tempo dovendo stare dietro a figli e mariti tutto il giorno; 3) non hanno i mezzi adeguati (pc, giga, tablet, cellulari ecc); 4) perché è venuta meno la motivazione di uscire a casa… ci dobbiamo riflettere molto su.
Maria Laura – formatrice in glottodidattica e supervisore dei corsi – Vorrei aggiungere qualche osservazione alle informazioni condivise da Agnese: ovviamente una lezione on line è completamente diversa rispetto ad una lezione in presenza. Per potere lavorare bene bisogna padroneggiare piattaforme, applicazioni, e altri strumenti utili a colmare il gap della virtualità e rendere comunque interessante, accattivante e coinvolgente (quindi motivante) la lezione. Io ho sempre e solo lavorato in presenza sino a ora e non ho queste competenze (e non posso quindi neanche trasmetterle alle ragazze che comunque si stanno impegnando moltissimo). Ho cercato di reperire materiali e nozioni a riguardo online, sto leggendo un po’ e lunedì ci risentiamo con le ragazze per provare insieme a programmare una chiamata che possa essere strutturata come una lezione
Queste riflessioni, per quanto fatte “a caldo” e cercando di interpretare silenzi e assenze più che parole e posizioni esplicite delle donne, aprono una finestra sulla complessità di un tema come la DaD, che spesso viene ridotto ai soli aspetti tecnici – anch’essi non privi di lati oscuri se pensiamo all’inquietante tema della gestione dei dati – ma che invece è proprio un altro mondo rispetto alla relazione didattica in presenza e non è affatto detto che possa essere adattabile a qualsiasi pubblico. Prendiamo il tema della riservatezza, non tanto dal punto di vista giuridico, ma proprio del disagio che può produrre il far entrare nella propria casa attraverso una telecamera un’intera collettività di estranei, soprattutto in considerazione del fatto che i ruoli sono profondamente diversi da un qualsiasi invito a casa: nel caso della videochiamata in DaD, infatti, la donna non è nella posizione della padrona di casa che riceve ospiti, ma viene messa in posizione subalterna (“discente”) in casa propria. In effetti non avevo mai pensato che la videochiamata potesse essere vissuta come invasiva della privacy, ma me l’ha confermato anche mia figlia, liceale ovviamente in DaD in questo periodo, che pur seguendo la programmazione scolastica con molta autonomia e perizia, preferisce collegarsi solo in audio e non in video perché prova un po’ di imbarazzo ad essere colta nel suo ambiente privato anziché nel più neutro contesto della scuola, o forse non si trova a suo agio con la sua immagine, come molte adolescenti. Nel caso delle nostre utenti, poi, stiamo chiedendo loro di mostrarsi in una posizione “debole” di fronte ai figli, verso i quali potrebbero temere di perdere autorevolezza, e di mettere in pubblico una parte della loro vita relazionale extra-familiare che magari i mariti non conoscevano a fondo – ovviamente è tutto lecito e encomiabile, ma appunto l’impegno per imparare l’italiano e il riconoscimento di una debolezza sociale da cui parte potrebbero viverlo come uno percorso personale nel quale non si sentono ancora abbastanza sicure per parne parte alla loro cerchia familiare. Inoltre c’è il tema dell’uscire di casa. E’ un concetto molto “denso”, che può includere enormi significati, soprattutto per queste donne che in Italia vivono prevalentemente all’interno delle mura domestiche. Uscire di casa è conquista dello spazio pubblico, è interagire con l’esterno della famiglia in modo diretto senza intermediari, tessere scambi reciproci di amicizia. E’ costruirsi una rete relazionale autonoma ed essere riconosciuta dagli altri. Tutto questo comprende anche in una certa misura sottrarsi al controllo della famiglia.
Se non dobbiamo cadere nella tentazione di psicologizzare tutto, riconoscendo che molto banalmente l’impegno di dover gestire i bambini per tutta la giornata e la vita “sospesa” di queste settimane di quarantena sono di per sé motivi sufficienti a ridurre l’interesse per le lezioni di italiano, potrebbe essere un errore anche guardare con superficialità alle profonde differenze tra la DaD e la relazione didattica in presenza. Un errore di sottovalutazione che porta a illudersi che se la DaD è buona per gli studenti liceali e universitari allora va bene anche per bambini, ragazzini, adulti con le più varie difficoltà. Insomma, bisogna sempre ricordare che la DaD rappresenta una toppa per coprire un buco, non certo una soluzione alternativa.
Con questo post intendiamo aggiungere il nostro punto di vista, particolarissimo e sicuramente molto circoscritto – ma crediamo di grande interesse – all’intensa riflessione critica che il mondo della scuola sta conducendo sull’argomento, di cui segnaliamo l’approfondita analisi offerta dal blog della Wu Ming Foundation e rete Bessa.
Antonella Selva, Francesca Molinari, Agnese Tajariol, Maria Laura Privitera
Giriamo un commento di Luisa Granzotto – Centro Zonarelli (Bologna)
Complimenti per l’impegno e per le riflessioni, e per il tentativo delle operatrici di non mollare la didattica,
Provo brevemente un mio ritorno: concordo su diversi aspetti dell’analisi, soprattutto nel vivere come intrusione la video chiamata in una situazione familiare; è evidente che lo sia, è un contesto privato, completamente diverso da quello della lezione, che è spazio/tempo dell’incontro, dello scambio del contatto, e stiamo parlando di persone che sono culturalmente abituate a vivere le relazioni in modo diretto, (mi ci metto io in questo gruppo, non so se per età o per storia), il collegamento skype è un surrogato di relazione, dovuto alla vera distanza ,alla vera necessità.
La DaD ora è una necessità contingente, a cui non tutt* sono pronti o hanno voglia di aderire; per certe organizzazioni formative è un sistema di insegnamento a cui ci si iscrive volontariamente, e le signore mamme preferiscono serenamente un incontro in salotto con biscotti e thè alla menta ;+) le capisco perchè mi ci rispecchio….