Insegnare a cooperare

L’esperienza di una giovane insegnante di italiano per stranieri

Cosa rende un’insegnante bravo? Che cosa determina un insegnamento significativo? In che direzione possiamo muoverci per promuovere una didattica al servizio dei suoi obiettivi? E quali sono questi obiettivi di cui parliamo?

Ne ho parlato con Maria Laura Privitera da 4-5 anni nel mondo dell’insegnamento L2. La sua stessa esperienza in diverse realtà è stata il filo conduttore della nostra conversazione: Maria Laura ha iniziato come volontaria nella scuola di italiano Aprimondo, poi si è formata e specializzata e ha lavorato in Cas, Sprar, al CPIA di Bologna, è docente di italiano per la preparazione dell’esame Celi presso un centro di formazione accreditato con l’Università per gli Stranieri di Perugia, e ha esperienza anche nella scuola pubblica come alfabetizzatrice in qualità di esperto esterno. 

La riflessione è nata dal tema della formazione degli insegnanti. Sia nell’ambito del volontariato sia nelle scuole pubbliche non sempre i docenti hanno una preparazione specifica alle spalle, e di fronte al numero di persone di paesi stranieri che popolano oggi le aule, sembra necessaria una messa in discussione del sistema didattico e una riformulazione della metodologia e della relazione fra insegnanti e studenti. Maria Laura ha una proposta ben precisa di come dovrebbe organizzarsi l’insegnamento, necessario è il passaggio verso metodi e tecniche che favoriscano la cooperazione tra pari e sostituiscano quelli competitivi che caratterizzano la nostra società più generale. Per spiegarmi cosa intende usa la metafora del calcio: l’insegnante deve essere l’allenatore che studia i membri della sua squadra, ne individua le capacità, le potenzialità e i punti deboli e da lì organizza il suo allenamento, andando a stimolare ogni componente al fine di formare una squadra che sia caratterizzata dalla necessaria differenziazione dei ruoli e la parità di importanza di ciascuno di essi. Quando un compagno fa goal, tutti ne traggono vantaggio e ne esultano ed ognuno a modo proprio ha contribuito affinché avvenisse. In egual modo dovrebbe essere concepita una classe: partendo dal piccolo l’insegnante esplora le individualità, le capacità, le competenze e le tendenze di ogni alunno e nella molteplicità cerca il raggiungimento di un risultato comune. La competizione in questa visione non è esclusa, ma non è l’unico mezzo né tanto meno il fine, bensì è uno degli strumenti per stimolare ogni persona a fare di più, a muoversi sempre più in prossimità dei propri limiti. Questo approccio secondo Maria Laura permetterebbe di andare oltre i cosiddetti “filtri affettivi” o qualsiasi altra denominazione delle difficoltà più comuni fra gli studenti. Creando nuovi processi per modificare la realtà delle cose senza soffermarsi eccessivamente sulla mera apparenza, molti problemi si dissolvono.  

Potrebbero sembrare discorsi astratti e idealistici che tendono a sovraccaricare di aspettative e responsabilità l’insegnante a cui verrebbe richiesta una grande capacità innata di gestione della classe. Maria Laura dissolve anche questo problema egregiamente. A determinare un “buon” insegnante per lei è l’intenzione: se l’obiettivo è chiaro all’orizzonte, certamente conta come lo raggiungi, ma agli alunni rimarrà la passione incorporata nel quotidiano insegnamento del maestro. A volte può capitare che un docente si muova in maniere incomprensibili o talvolta addirittura in modi inadeguati, ma se ad animarlo c’è la passione, oltre che ovviamente la formazione e la competenza, è più facile raggiungere gli obbiettivi che ci si è prefissati. 

Si parla spesso di motivare lo studente, ma prima ancora sarebbe adeguato parlare di motivare l’insegnante. Egli spesso si ritrova con classi numerose ed eterogenee, con un preciso programma didattico da perseguire e da raggiungere a fine anno. Ci sono direttive dall’alto, linee guida da seguire e manuali da affiancare all’insegnamento, ma ciò non è sufficiente per incorporare buone pratiche di insegnamento.  Una volta fatto questo passo, ogni insegnante dovrebbe ricercare gli strumenti personali per operare, interiorizzare gli obiettivi e tentare. Attraverso tentativi si esplorano le possibilità, e analizzando e riflettendo costantemente su come traslare il principio ideale nella realtà materiale, si entra nel cuore delle persone con cui ci si relaziona. Maria Laura invita gli insegnanti ad applicare a partire da loro stessi il modello cooperativo, creando gruppi di auto-formazione che partono dallo scambio di conoscenze e di esperienze vissute nelle classi possono ragionare e formalizzare i tentativi che hanno avuto più successo.

L’approccio tradizionale fatto di libri, compiti, severità e competizione dà stabilità e sicurezza. L’insegnante che si ripara nel conosciuto penetra gli animi delle persone già di per sé motivate per la materia, ma altrimenti il lavoro è perso. Con gli italiani questo sistema può anche funzionare senza creare troppi ostacoli, il risultato che si ottiene è di studenti che riescono di più e altri meno, orizzontalmente costretti ad adattarsi ad un sistema che li può stimolare come no. Davanti ad una classe mista però, questo schema non riesce a funzionare, il rischio che si corre è una forte differenziazione di alunni, alcuni che arrivano al successo e altri, lasciati ai margini, indirizzati verso il fallimento scolastico. 

Lo straniero genera così un’opportunità di riformulazione, di analisi e di messa in discussione dei sistemi convenzionali. Il maestro ha un canovaccio, ma deve mettere insieme i suoi attori per creare un’opera teatrale. Maria Laura mi fa l’esempio dello studente cinese, affermando come sia difficile entrarci in contatto perché non ne conosce nulla. Infatti, se la numerosa comunità cinese a Bologna, ma in generale in Italia, decifra su che binari si muove la cultura italiana e da anni produce prodotti sul suo specifico gusto, non si può dire il contrario. Il nostro studio della cultura e delle dinamiche scolastiche cinesi è scarso e questo produce un’incapacità di creare un linguaggio attraverso cui ci si possa incontrare e comunicare. Così suggerisce di preparare la borsa degli attrezzi, munita per esempio di diversi dizionari di più lingue, che possa aiutare a creare i primi contatti con gli studenti. Lei stessa si avvale spesso in classe del metodo cooperativo di cui abbiamo parlato: parte da task a coppie, indaga le competenze, le passioni e le capacità di ogni suo studente e poi opera al fine di costruire relazioni e un clima collaborativo. 





Bisogna essere come acqua. Il fiume visibile agli occhi di tutti rappresenta l’istituzione, ma l’acqua esce e si insinua in tutti gli anfratti e solo così genera nuova vita. 





La varietà di contesti che Maria Laura ha toccato, il suo animo creativo e il suo approccio auto-riflessivo hanno generato una conversazione molto stimolante, che forse prescinde dallo specifico contesto di insegnamento e può essere generalizzato in ogni dinamica relazionale. La collaborazione, la valorizzazione delle individualità, la motivazione sono ingredienti essenziali per migliorare l’insegnamento e la nostra società in generale. Quello che ho imparato da Maria Laura è che ogni piccolo mondo mostra una fonte illimitata di possibilità di azioni da esplorare, e inserendocisi con passione si può tentare di creare nuove concezioni di comunità.

Articolo di Lucia Imbriaco, 
ringrazio Maria Laura Privitera per la stimolante conversazione e i propositivi spunti di riflessione,
Foto di Lucia Imbriaco ed Elena Tinti

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